Uno, nessuno e centomila arrivò in seguito all’enorme
successo raggiunto da “Il fu Mattia Pascal”, e venne pubblicato tra il 1925 e
il 1926.
I due romanzi sono molto accostabili sia dal punto di vista
tematico, sia per l’impostazione in generale: sono “romanzi-conversazione”
perché il narratore ha la particolarità di rivolgersi al pubblico mentre
scrive, come se ci stesse parlando a voce, ed entrambi sono scritti postumi,
ossia ricostruzioni di passaggi che hanno portato alla formazione dei
personaggi fino all’essere, ancor vivi, come “il fu Mattia Pascal”, anche “il
fu Vitangelo Moscarda”, il protagonista di questo libro.
Si tratta di un uomo che nel pieno dei suoi anni si rende
conto di aver vissuto una vita priva di significato, tutto solo a causa di
un’osservazione di sua moglie Dida riguardante il suo naso leggermente pendente
verso destra. Da quel momento il suo modo di pensare cambia radicalmente, ma
tutti gli aspetti se li porta fino alla fine del libro: il suo malessere
interiore, la sua passività nei confronti della follia che incomincia a far
parte della sua vita normale e il continuo senso di solitudine nei confronti
non degli altri ma da un io separato da sè, o meglio dalle proprie maschere.
Ancora una volta emerge il realismo illusorio tipico di
Pirandello, e la sua capacità di trascinare il protagonista a diventare
testimone di una verità del tutto artificialmente costruita e poi di
cancellargliela davanti agli occhi come una sorta di sberleffo.
La differenza con l’altro suo libro l’ho trovata nell’
analisi del personaggio: se in Mattia lo scrittore si limita a descrivere
esteriormente i suoi cambi di personalità, in Vitangelo si trova molta più
profondità fino a creare una sua completa introspezione psicologica. Uno,
nessuno e centomila è un libro così interiore da doversi soffermare in ogni sua
pagina e ogni suo aspetto. La sua bellezza e intensità si riassumono tutte nel
titolo: un uomo che si indaga interiormente e che scopre di apparire diverso
per ogni persona che lo conosce, non ritiene di avere una propria identità.
È un libro che ci permette di intraprendere un viaggio nel
nostro io e per mezzo di Vitangelo, Pirandello intende rivolgersi a tutti noi,
di farci riflettere fino all’ultima pagina del libro.
Irene Zanirato IV SA
Ho apprezzato molto questo romanzo (più de "Il fu Mattia Pascal") per due motivi sostanziali che creano secondo il mio parere un potente connubio: la modalità della narrazione come se fosse una conversazione (a volte anche ironica) con il pubblico e la presenza maggiore di parti riflessive. Pirandello in questo modo riesce a trasmettere il suo pensiero più facilmente, ma soprattutto sorprende il lettore, che realizza che non sono soltanto parole, che non si parla solo della vita di Vitangelo Moscarda, ma anche della propria. Non nego infatti che dopo aver letto questo libro io mi sia accorto di quanti riscontri ci siano nella mia vita con quanto detto da Pirandello.
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