martedì 30 gennaio 2024

Aroma di...filosofia

Il Caffè Vercelli è una delle proposte del nostro liceo che consiste in un incontro volto a permettere a tutti di esprimere le proprie considerazioni riguardo un tema proposto e con l’obiettivo di far sviluppare a chi vi partecipa un proprio pensiero critico.

Un esempio di tema che è stato affrontato in uno dei vari incontri che si sono tenuti in questo periodo invernale è stato quello della cattiveria.



Gli spunti proposti sono stati una frase di Friedrich Nietzsche, Franz Kafka, Victor Hugo e Gabriele D’Annunzio. Per dare un assaggio, proponiamo quella di Victor Hugo:”Abbiate compassione per i cattivi: non sapete quel che avviene nel loro cuore.”.
A seguito delle citazioni sono state poste delle domande come “Cos’è davvero la cattiveria?” e “In che rapporti è con l’uomo?”.

Nelle due ore che hanno seguito la presentazione dell’argomento sono sorti vari spunti e si è andati ad indagare la sua origine: è una caratteristica propria dell’uomo o è una semplice reazione ad un’altra azione cattiva? 

Può sembrare una domanda senza una vera e propria conclusione, ma siamo sicuri di avervi fatto pensare, anche solo per un attimo, ad una possibile risposta e l’idea è proprio questa: nessuno pretende che chi partecipa agli incontri offra delle verità assolute; lo stesso Socrate riteneva che il modo per trovarla fosse il dialogo e noi vi proponiamo esattamente questo: un modo per esporre i propri pensieri, mettere e mettersi in discussione nella ricerca di una risposta che, pur se non trovata, permette di crescere intellettualmente e di imparare a pensare liberamente senza la paura di esporre le proprie idee.


Un altro esempio degli oggetti delle nostre discussioni è l’amicizia. All’incontro sono state nuovamente proposte citazioni di Epicuro:”Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un’esistenza felice, la più grande è l’amicizia.”, Blaise Pascal:“Sono certo che se tutti gli uomini sapessero quel che dicono gli uni degli altri non esisterebbero quattro amici nel mondo(...).” e Simone Weil:”(...)l’amicizia è per me un beneficio incomparabile, senza misura, una sorgente di vita(...).”.

Ci siamo ritrovati ad analizzare idee differenti tra loro per contesto storico, sociale, economico e scuole di pensiero; ma tutte vedono l’amicizia come qualcosa di grande valore. Oggi però le cose sembrano ulteriormente cambiate e si può allora pensare che un’amicizia vera e sincera possa ancora esistere? Ma quand’è che un’amicizia può dirsi “vera”? E considerando che essa possa nascere, potrebbe anche continuare a sussistere o l’egoismo prenderebbe comunque il sopravvento? Tra pensieri originali e qualche risata comune, ciascun partecipante (salvo i più testardi) ne è uscito con un’idea di amicizia diversa da quella che aveva in principio. Si tratta di uno sguardo più ampio sul mondo ed un’analisi con ragazzi che si interessano degli argomenti più disparati. Se tutto ciò non dovesse avervi esaltato, vi diamo anche uno spoiler: stiamo lavorando per un incontro con uno studente di filosofia dell’università di Torino.

Speriamo di vedervi a breve!

domenica 28 gennaio 2024

Il Caffè Vercelli dentro alla scatola

Un semplice post introduttivo su una delle offerte più interessanti del nostro liceo.
Parleremo dei vari incontri che si terranno da qui in avanti (argomenti, intuizioni dei partecipanti, domande proposte, ecc...) e ogni tanto tratteremo di argomenti che ci hanno colpito ma che pensiamo non avrebbero modo di essere approfonditi a dovere in un incontro.
Speriamo che possa piacervi e che qualcuno si senta magari più invogliato a partecipare.
Grazie dell'attenzione e buona lettura!

venerdì 29 dicembre 2023

VALE LA PENA INSEGUIRE I PROPRI SOGNI?

Il tema presente nel titolo viene analizzato nel film di Darren Aronofsky "Requiem for a Dream" e già dal titolo si può intuire la sua visione pessimistica sull'argomento.
Nella pellicola sono presenti vari personaggi rappresentativi di ogni classe sociale, ma tutti accomunati da una sorta di malessere e inappagamento rispetto alla società o vero se stessi, ed è proprio questa insoddisfazione che li porterà a intraprendere un cambiamento, una rivoluzione personale, di cui ne verranno analizzate le fasi.

In seguito ad un inizio dove il sogno è alla portata dei protagonisti, gli stessi si scontrano con la realtà dei fatti: ci sono dei fattori esterni, che noi non possiamo controllare, a mandare tutto in frantumi e a creare un rapido annullamento delle aspettative e la 
"morte del sogno" .Questo film raggiunge perfettamente 
il suo obbiettivo, ovvero di forzare una "presa di 
coscienza", nello spettatore, grazie anche ad una colonna 
sonora immersiva con dei giochi e combinazioni di 
inquadrature distintivi, Aronofsky riesce a trasmettere 
un senso di angoscia, paragonabile a quella di Kierkegaard,
verso te stesso, il tuo ruolo nella società e nel mondo;
affrontando e facendo riflettere l'osservatore su temi come la solitudine, l'omologazione sociale e il voler essere amato. Il tutto mascherato dall'inseguimento dei sogni che assumono forme diverse per ogni persona ma di egual valore, in qualsiasi caso il destino di chiunque voglia intraprendere questa strada è destinato ad un'inevitabile disfatta.
O rinunci ai tuoi sogni o morirai rincorrendoli.
Trailer del film:



                                                                                                                                          Federico Pellitteri


mercoledì 10 maggio 2023

"Uno, nessuno e centomila" - Luigi Pirandello



E tu, chi sei?


Sicuramente avrai un nome, un tono di voce, un colore preferito ed un modo tutto tuo di vedere le cose.


Ti sarai guardato allo specchio un miliardo di volte e avrai visto sempre le stesse cose: stessi occhi vispi, stesso naso un po' troppo grande o troppo piccolo per la tua faccia, stessa smorfia imbronciata, stessi capelli in disordine.

                                                                                                                                              




Ma se provassi a chiedere a tua madre, alla tua parrucchiera o al commesso del supermercato sotto casa tua, credi che vedrebbero la versione di te che vedi anche tu? E se così non fosse, allora tu dove sei? Qual è il vero te? Esiste?


 



Queste sono le domande che si pone Vitangelo Moscarda, il protagonista del libro "Uno, nessuno e centomila" scritto da Luigi Pirandello, quando un giorno, dopo una vita intera passata a fianco della moglie Dida, si accorge che per lei non era altro che uno sconosciuto.





Duecento pagine di una storia avvincente, in cui dubbi irrisolti si intrecciano con riflessioni sulla vita e su noi stessi. Un libro in cui perdersi è tanto facile quanto ritrovarsi.

 



E se dopo averlo letto non riesci più a trovare te stesso, non preoccuparti, alla fine siamo tutti uno, nessuno e centomila.

                                  


                                 





lunedì 23 gennaio 2023

IL POTERE DELLA NOIA

Quando si parla di noia, inteso come stato psicofisico, si ha sempre un’idea negativa, tanto che nel Medioevo si è estremizzato questo concetto fino alla concezione del peccato capitale di accidia. Consideriamo però l’accidia un concetto diverso dalla noia, la definiamo come una delle modalità con cui può essere spesa. Non voglio parlarvi di noia perché credo vi annoierete, ma voglio parlarne per capire il valore della vitalità, come se parlassi della povertà per capire il valore della ricchezza.



Nella vita i momenti di noia arrivano quando rimaniamo soli con noi stessi, senza che non ci sia banalmente nessuna attività ad intrattenerci (distinguendo ovviamente la noia dal riposo). Il tempo perde valore e il corpo percepisce un palco troppo grande per lo spettacolo della nostra vita. Questo momento è delicatissimo e anche se viene spesso trattato come fosse un intermezzo tra quelli che crediamo gli atti della nostra vita, in realtà è tra le occasioni più importanti che abbiamo per scoprirla. Alcuni sociologi e filosofi lo hanno definito come “lo stadio che precede la creatività” e questo perché privati di impulsi esterni, rimasti soli con la nostra coscienza, siamo obbligati ad ascoltare noi stessi, i nostri bisogni. Questo tempo ci permette di formalizzare i nostri desideri, di sentire la mancanza di quello che ci fa stare bene oppure capire che manca qualcosa che dobbiamo cercare. Purtroppo in questo periodo non ci è concesso spesso annoiarci, e non per gli impegni, ma perché abbiamo sempre in tasca qualcosa che può intrattenerci, preferendo essere spettatori piuttosto che protagonisti di una vita che a volte sentiamo pesante.
Il rischio è quindi quello di distrarsi da se stessi, proprio nel periodo in cui diamo forma alla nostra persona e determiniamo i nostri principi. Ciò che rende la noia insidiosa non è la noia stessa, ma come proviamo ad evitarla, come le nostre paure sempre più grandi della realtà che può ospitarle. Quando ci alziamo la mattina, quanto tempo dedichiamo a pensare al perché ci stiamo alzando così presto? Oppure guardiamo i messaggi? Quante volte ci fermiamo a osservare il grande dinamismo che ci circonda invece di guardare un’altra superficie, meno profonda e complessa? In questi momenti stiamo inconsapevolmente evitando la noia, proprio perché essendo uno stato fisico “spiacevole” il nostro corpo ci induce a scegliere attività che possano soddisfarci immediatamente.
Non voglio quindi invitarvi ad annoiarvi, ma a scoprire la vostra creatività, i vostri bisogni e ad apprezzare quello che vi circonda.

Fadil Likaj, 2SD

venerdì 16 dicembre 2022

L'attimo fuggente


 L'attimo fuggente (Dead Poets Society)



Arte, eternatrice di pensieri e idee che possono cambiare il mondo.

L' Arte, in dead poet society, si è fatta film.

Un mix perfetto di straordinaria bravura degli attori, capaci di trasmettere allo spettatore la potenza di ogni emozione, ogni espressione, ogni respiro, della scenografia impeccabile e di dialoghi commoventi che ci introducono a prospettive sempre stimolanti.  Una palestra per lo spirito e per la mente.




Vermont autunno 1959, John Keating, giovane insegnante di letteratura inglese, si trasferisce presso il prestigioso collegio maschile Welton.

Fin dalla prima lezione il professore mostra un approccio didattico non pienamente conforme ai principi austeri dell'accademia: con parole vere, schiette e pungenti infiamma l'animo e il coraggio dei suoi amati alunni.

Sulle note romantiche e nostalgiche di questo capolavoro degli anni novanta, scorre il filo rosso che unisce le vite di Todd, Neil, Charlie, Knox e Meeks.

Questi cinque giovani ubriachi di vita, travolti da un nuovo entusiasmo per la letteratura, decidono di far rinascere la Setta dei poeti estinti. Si riuniscono clandestinamente nel bosco per succhiare il midollo della vita, e così tra squilli di tromba e parole sussurrate lo spirito si eleva, le donne svengono e nuovi dei nascono.


Ora però basta. Io non vi dico più niente, andate a vedere il film!!

Se dopo aver trascorso 128 minuti con il capitano e i suoi giovani poeti non vi sentirete inebriati da una commovente voglia di vivere, mi troverete nel seminterrato pronta a risarcirvi con un buon caffè.


Carpe diem, cogliete l'attimo ragazzi.

Rendete straordinaria la vostra vita!” (prof Keating)

Alessia Clovis 5B










domenica 20 novembre 2022

La Buona Novella

Buongiorno a voi, cari lettori del blog. Spero che tutti stiate bene. 
È passato parecchio tempo senza che pubblicassi alcunché qui sulla Scatola, per questo ho deciso di tornare a farlo e di inaugurare questo mio ritorno con un post in formato maxi.
L'argomento di cui oggi ho deciso di parlarvi riguarda La Buona Novella, quarto album in studio e secondo concept album del celebre cantautore Fabrizio De André. 
La Buona Novella risale al 1970. In questo disco De André racconta, come si può intuire dal titolo, il Vangelo, ma, a differenza di ciò che ci si potrebbe aspettare, scrive i testi delle canzoni ispirandosi non ai quattro Vangeli canonici, bensì ai vangeli apocrifi, cioè l'insieme dei testi religiosi riferiti, in particolare, alla figura di Gesù Cristo esclusi dal canone biblico.
Vorrei trattare proprio di quest'album perché è il mio preferito e soprattutto perché questo mese, novembre 2022, ricorre il cinquantaduesimo anno dalla sua pubblicazione. Pertanto mi piacerebbe sfruttare l'occasione per presentarlo a chi ancora non lo conoscesse e, inoltre, per cercare di stimolare lo spirito critico dei miei lettori.
La scelta, invece, di voler discutere tutto l'album e non una canzone in particolare non riguarda la possibilità che le singole canzoni decontestualizzate perdano bellezza, ma perché reputo che l'ascolto dell'album completo, nel suo ordine, fornisca un immagine molto più completa del messaggio che il cantautore vuole trasmetterci, che altrimenti apparirebbe frammentata. De Andrè lo fa con un climax ascendente di significato fino a raggiungere il suo apice in Il Testamento di Tito, ovvero la penultima canzone dell'album, ma ultima cantata da Fabrizio.
Fatta questa breve introduzione, vi allego il link per ascoltare l'album. Ascoltatelo, poi ci troviamo sempre qui per un'analisi delle canzoni.




Rieccoci qui. Spero vivamente che vi siate goduti l'ascolto, io non mi stanco mai di farlo. Sarò di parte, ma quest'album non può che considerarsi meraviglioso.
Come avrete potuto notare il disco è diviso in dieci tracce, di cui una è un Laudate Dominum di apertura della durata di soli 22 secondi. La scelta di voler aprire così l'album non è subito comprensibile, dal momento che De André non intende, come disse lui stesso tre anni prima nella canzone Si Chiamava Gesù«cantare la gloria/ né invocare la grazia o il perdono/ di chi penso non fu altri che un uomo». È però anche importante sapere che, nonostante De André non credesse nella natura divina di Gesù, ma solamente in quella umana, lo reputava "il più grande rivoluzionario di tutti i tempi». Quando scrisse La Buona Novella era il 1969, in piena manifestazione studentesca. Racconta lui stesso durante un intermezzo del suo ultimo concerto, che la gente all'epoca pensò che questo disco fosse anacronistico, perché in tempo di rivoluzione non era utile cantare la predicazione di Cristo. Ma La Buona Novella doveva essere di fatto un'allegoria, finalizzata a paragonare la rivoluzione guidata da Cristo con quella che, all'epoca in cui scrisse l'album, era in corso. C'è, però, da fare una precisazione: il vero protagonista dell'album non è Gesù. Infatti, a lui vengono dedicate due canzoni soltanto, una di queste è Via della Croce, nella quale ci viene illustrata la folla che lo segue sul Calvario: troviamo i padri dei bambini che Erode fece trucidare quando era un neonato. Questi gli lanciano grida ingiuriose sostenendo addirittura che Pilato abbia fatto bene a condannarlo a morte («Poterti smembrare coi denti e le mani/ sapere i tuoi occhi bevuti dai cani/ di morire in croce puoi essere grato/ a un brav'uomo di nome Pilato»). A seguire Gesù, piangenti, sono le vedove, che di fronte all'imminente morte provano il suo stesso dolore («Con riconoscenza ora soffron la pena/ di chi perdonò a Maddalena»). Scorgiamo poi gli apostoli più nascosti tra la folla, che lo seguono sgomenti e muti, attenti a non farsi riconoscere per non essere uccisi («Confusi alla folla ti seguono muti/ sgomenti al pensiero che tu li saluti/[...]/ nessuno di loro ti grida un addio/ per esser scoperto cugino di Dio:/ gli apostoli han chiuso le gole alla voce/ fratello che sanguini in croce»). Infine appaiono i ladroni, che non mostrano nessun interesse per la figura di Gesù poiché dovranno scontare la sua stessa pena e si limitano a seguirlo con le loro croci («Non hanno negli occhi scintille di pena/ non sono stupiti a vederti la schiena/ piegata dal legno che a stento trascini/ eppure ti stanno vicini»).
Perciò, se il protagonista dell'album, almeno per la prima parte e metà della seconda, non è Gesù, la vera protagonista dell'album deve essere Maria, e non una sola Maria, ma ben quattro, ovvero Maria bambina, Maria adolescente, Maria incinta e infine Maria madre, che verrà immersa completamente nel dramma vedendo suo figlio morire. A questa figura sono dedicate quattro canzoni, più una, Tre Madri, dedicata a Maria e alle madri di Tito e Dimaco, i due ladroni crocifissi insieme a Gesù.
Le canzoni che le vengono interamente dedicate sono L'Infanzia di Maria, Il sogno di Maria, Ave Maria e Maria nella Bottega d'un Falegname. Nella prima ci viene presentata la Madonna che, all'età di soli tre anni, venne portata da Gioacchino, suo padre, al tempio, dove trascorrerà la sua infanzia in mezzo ai sacerdoti e passerà le giornate in compagnia di un angelo del Signore che svolgerà il compito di «(direttamente rivolto a Maria) Misurarti il tempo fra cibo e Signore». All'età di dodici anni a causa delle prime mestruazioni, verrà espulsa dal tempio; si credeva infatti, che il sangue contaminasse la purezza del tempio. Allora i sacerdoti decisero di radunare tutti gli uomini che costituivano il «popolo senza moglie» della Giudea e di organizzare tra questi una specie di lotteria, il cui premio è proprio Maria, che verrà affidata a Giuseppe, il quale la porterà nella sua casa, triste perché il destino gli aveva affidato «una figlia di più senza alcuna ragione/ una bimba su cui (direttamente rivolto a Giuseppe) non avevi intenzione». Partirà subito dopo per dei lavori che lo aspettavano al di fuori della Giudea, dalla quale rimarrà lontano quattro anni. 
Il suo rimpatrio è raccontato in Il Ritorno di Giuseppe, viaggio fatto completamente a piedi, nel quale De André ci immerge completamente evidenziando impressioni, sensazioni e pensieri del falegname. Giuseppe ha con sé una bambola, pensando di fare un regalo a Maria, così potrà tornare «[...]a quei giochi/ lasciati quando i tuoi anni/ erano così pochi», ma quando giunge a casa, questa si getta nella sue braccia e Giuseppe si accorge, posando le mani sui suoi fianchi, che è incinta. Egli rimane sgomento e Maria, anch'essa scossa dal misterioso avvenimento e confusa, cerca nei ricordi di un vecchio sogno una possibile risposta 
La seconda della canzoni dedicate alla Vergine è Il Sogno di Maria e si presenta per gran parte come un monologo in cui questa spiega a Giuseppe la vicenda dell'angelo che veniva a farle visita tutti i giorni nel tempio e così accadde anche quel giorno, in cui: «l'angelo scese come ogni sera/ (Maria parla in prima persona) ad insegnarmi una nuova preghiera». A differenza degli altri giorni, però, l'angelo le trasformò le braccia in ali e così, volando sopra la città, poté vedere, dopo tanti anni, il mondo esterno al tempio. In seguito l'angelo profetizza la sua maternità per opera dello Spirito Santo: «- Lo chiameranno figlio di Dio - / parole confuse nella mia mente/ svanite in un sogno, ma impresse nel ventre». Concluso il racconto del sogno, Maria scoppia in un pianto dirotto. Giuseppe allora poserà le dita sulla sua fronte per accarezzarla e consolarla, probabilmente mosso a compassione di quella ragazza rimasta incinta in sua assenza e che, per questo, sarebbe dovuta essere lapidata secondo la pena che si riservava alle adultere. La conclusione della canzone si pone come l'inizio del canto successivo. Infatti, musicalmente si collega perfettamente ad Ave Maria, come fosse una canzone unica. Tra le due non si percepisce alcun punto di stacco, sia dal punto di vista della melodia, sia nel testo, infatti Ave Maria comincia con una congiunzione coordinante copulativa: «E te ne vai Maria, fra l'altra gente...». Vediamo Maria camminare in mezzo alla folla con il ventre gonfio e la canzone diventa una lode alla maternità, non solamente di Maria, ma di tutte le donne, infatti il cantautore non ricorre all'utilizzo del singolare, bensì del plurale: «femmine un giorno e poi madri per sempre/ nella stagione che stagioni non sente». È, infatti, molto caro al cantautore la riflessione della condizione femminile. La donna per De André rappresenta l'incarnazione terrestre del sacrificio, che secondo lui si manifesta fondamentale in tre forme, ma al momento ritengo di essere troppo acerbo per affrontare un argomento di questa portata, quindi vorrei dedicare in futuro un post a parte su tale argomento.
Possiamo affermare che con Ave Maria si concluda la prima parte del disco, quella dedicata all'infanzia. Avviene un salto temporale di trentatré anni che ci porta a Maria nella Bottega d'un Falegname. Tutta la canzone è immersa in un clima drammatico. Un pesante martello sta battendo dei chiodi sul legno, Maria chiede con voce flebile: «Falegname col martello/ perché fai den den?/ con la pialla su quel legno/ perché fai fren fren?/ costruisci le stampelle/ per chi in guerra andò?». No, il falegname non sta costruendo stampelle, quindi le risponde: «Mio martello non colpisce/pialla mia non taglia/ per foggiare gambe nuove/ a chi le offrì in battaglia/ ma tre croci, due per chi/ disertò per rubare/ la più grande per chi guerra/ insegnò a disertare»: sta, infatti, costruendo due croci per i ladroni («chi/ disertò per rubare») e una più grande per Gesù («la più grande per chi guerra/ insegnò a disertare»). In seguito a questa infelice premonizione comincerà la Via della Croce.
L'aspro viaggio sul monte si conclude con Tre Madri, ovvero la canzone del pianto di tre donne che vedono davanti ai loro occhi morire il proprio figlio. Esse stanno ai piedi delle croci, sulle quali i loro figli stanno vivendo i loro ultimi istanti terreni. Queste donne sono Maria e le madri di Tito e Dimaco, i due ladroni crocifissi insieme a Gesù. La canzone si presenta parzialmente come un dialogo, ma inizia in modo diverso. Infatti, comincia con due voci, la prima che si rivolge a Tito, la seconda a Dimaco. Queste voci non sono definite, ma secondo lo stesso cantautore, sarebbero rispettivamente le voci della madre di Tito e di quella di Dimaco. Ai due vengono rivolte frasi diverse, ma con stesso significato, ovvero che insieme a loro stanno morendo anche le madri, straziate vedendo il dolore dei figli: «Tito non sei figlio di Dio,/ ma c'è chi muore nel dirti addio/ Dimaco ignori chi fu tuo padre,/ ma più di te muore tua madre». Da qui in poi la canzone è un vero e proprio dialogo. Chi comincia a parlare sono le madri dei ladroni, che si rivolgono a Maria con parole forti, intimandole di non piangere così tanto la morte di Gesù, poiché lui risorgerà a differenza dei loro figli: «Con troppe lacrime piangi Maria/ solo l'immagine d'un'agonia/ sai che alla vita nel terzo giorno/ il figlio tuo farà ritorno/ lascia noi piangere un po' più forte/ chi non risorgerà più dalla morte». Il pianto della madre, però, non può fermarsi. Suo figlio potrà anche risorgere, ma adesso sta morendo: «Piango di lui ciò che mi è tolto/ le braccia magre, la fronte e il volto/ ogni sua vita che vive ancora/ che vedo spegnersi ora per ora». Inoltre, in mezzo alla folla sono presenti tantissime persone che avevano accolto Gesù come "Il Signore". Tra queste ne troviamo molte che hanno poi deciso la sua condanna (Via della Croce: «Trent'anni hanno atteso col fegato in mano/ i rantoli d'un ciarlatano»), ma anche altre che lo considerano ancora uomo giusto e figlio di Dio («e chi ti chiama "Nostro Signore"/ nella fatica del tuo sorriso/ cerca un ritaglio di paradiso»). Maria, al contrario, vive la morte di Gesù con una sofferenza che non ha pari e il suo dolore è così forte da rasentare la follia, fino al punto di dire che avrebbe preferito avere un figlio qualunque vivo, piuttosto che il figlio di Dio e assistere in vita alla sua morte: «Per me sei figlio, vita morente/ ti portò cieco questo mio ventre/ come nel grembo e adesso in croce/ ti chiama amore questa mia voce/ Non fossi stato figlio di Dio/ t'avrei ancora per figlio mio».
Quando la canzone finisce, De Andrè ci porta di fronte a un altro dolore, e lo fa spostando la narrazione dalla croce di Gesù, a quella di Tito, il ladrone che definiremmo buono. Tito in fin di vita, recita il suo testamento morale, da qui il titolo Il Testamento di Tito. La struttura della canzone è molto semplice, composta completamente da quartine e spesso quelle di numero pari presentano versi raddoppiati. Il buon ladrone, vicino alla morte, sulla croce riflette sui dieci comandamenti e su cosa hanno rappresentato nella sua vita. A ogni comandamento vengono dedicate due quartine (i comandamenti «non desiderare roba degli altri/ non desiderarne la sposa» sono riuniti in un unico comandamento),  nelle quali Tito confuterà quell'interpretazione rigida che tutti conosciamo facendo presente che una regola non può essere applicata sempre e indiscriminatamente. Afferma, ad esempio, «Non dire falsa testimonianza/ e aiutali a uccidere un uomo/ lo sanno a memoria il diritto divino/ e scordano sempre il perdono», infatti, noi tutti ricordiamo questo comandamento come «Non dire falsa testimonianza» e lo pensiamo come «Non dire le bugie», ma il comandamento originario è «Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo», ovvero «Non dirai alcuna falsità che possa danneggiare il prossimo». Ci ricorda anche quanto chi dovrebbe rappresentare e rispettare più di tutti i comandamenti, ovvero i farisei, non siano poi tanto migliori della gente comune, anzi, tutt'altro, poiché condannano chi non rispetta le leggi divine e sono, alla fine, i primi a non rispettarle («Il settimo dice non ammazare/ se del cielo vuoi essere degno/ guardatela oggi questa legge di Dio/ tre volte inchiodata nel legno»). De André stesso definisce Il Testamento di Tito come l'evidenziazione della contraddizione che esiste in chi fa le leggi a sua immagine e somiglianza, a suo vantaggio. Dopo aver riflettuto su ogni comandamento, un attimo prima di morire, Tito si commuove alla vista di Gesù accanto a lui. Questa sua commozione si trasforma presto in venerazione e subito dopo profonda sofferenza, perciò si rivolge a sua madre in questo modo:
«Io nel vedere quest'uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l'amore»
Personalmente credo che questi siano i versi più belli di tutto l'album, degni di un cantautore come De André. Così si spegne la vita di Tito che volerà insieme a Gesù nel Regno dei Cieli quello stesso giorno. Pur non credendo in Dio, De André ci ricorda che la salvezza dell'anima sta anche nel pentimento.
L'album giunge alla sua conclusione con una canzone dal titolo completamente opposto a quella iniziale: Laudate Hominem. Per rinfrescarvi la memoria, il disco inizia con Laudate Dominum, ovvero "Lodate il Signore". Allora perché, una volta giunti alla fine, quest'esortazione viene completamente ribaltata con "Lodate l'uomo"? Per rispondere dobbiamo ricordarci il contesto storico in cui il disco è stato inciso, ovvero quello delle rivolte studentesche del 1968. Come già detto sopra, l'album si ispira ai Vangeli apocrifi, poiché in questi, rispetto ai canonici, si sostituisce una concezione umana dei personaggi a una divina. Se quindi De André volesse lodare la rivoluzione guidata dal figlio di Dio, chiunque lo ascoltasse non potrebbe pensare di poter imitare tali imprese, poiché siamo uomini, non dèi. Invece De André, con La Buona Novella, vuole ottenere l'effetto contrario e lo fa con queste parole: «Non posso pensarti figlio di Dio/ ma figlio dell'uomo/ fratello anche mio». Possiamo quindi intendere nell'album l'intenzione di dare coraggio a una rivoluzione in cui si combatte per la libertà e lo fa umanizzando le figure della religione cristiana, soprattutto Gesù, per darci una nuova speranza usando il potere delle parole e della musica. 


Siamo così giunti al termine dell'analisi e del post, ovviamente sperando di non avervi annoiato e magari aver stimolato la vostra curiosità riguardo a questo incredibile cantautore. Se aveste interpretato quest'album come una blasfemia, vorrei solo rendervi consci del fatto che, in tal caso, state pensando le stesse cose che pensava la RAI nel 1970, censurando il disco. Perciò vi sorprenderà sapere che nello stesso anno sotto il pontificato di Papa Paolo VI lo stesso disco fu, invece, trasmesso da Radio Vaticana.
Spero vivamente che il post vi sia piaciuto, vi aspetto prossimamente sempre qui, sulla Scatola.

Francesco Banaudi

martedì 14 giugno 2022

Elenco alunni Giuria Giovane Premio letterario Asti d'Appello 2022








                                                                                     



martedì 24 maggio 2022

House of the Dragon e The Rings of Power


A tenerci compagnia durante l'estate non saranno solo le spiaggie e il mare ma, soprattutto, l'uscita di due serie TV molto attese: "House of the Dragon" e "Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere.

Ma andiamo con ordine.

Il 21 agosto uscirà sulle piattaforme HBO e Sky Atlantic "House of the Dragon", prequel della pluripremiata serie fantasy "Il Trono di Spade", adattamento televisivo del ciclo di romanzi "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di George R. R. Martin. Lo spin-off sarà ambientato 200 anni prima dei fatti della serie originale e ripercorrerà gli eventi che condussero alla fine del dominio della nobile casata dei Targaryen, signori dei draghi. 


Teaser Trailer di "HOTD": https://youtu.be/Wg86eQkdudI

Nonostante il deludente finale de Il Trono di Spade (per me rimane la miglior serie mai creata) le aspettative rimangono alte. House of the Dragon si candida perciò per il titolo di serie dell'anno anche se dovrà vedersela con "Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere".

Spin-off della trilogia de "Il Signore degli Anelli" di Peter Jackson, The Rings of Power uscirà il 2 settembre sulla piattaforma Amazon e sarà ambientata nella Seconda Era della Terra di Mezzo, migliaia di anni prima degli eventi de "Lo Hobbit" (altro spin-off della celebre trilogia) e Il Signore degli Anelli, entrambi adattamenti cinematografici delle opere fantasy di J. R. R. Tolkien.


Teaser Trailer di "LOTR: The Rings of Power": https://youtu.be/v7v1hIkYH24

Amazon punta molto su questo prodotto dato che si prevedono un totale di 5 stagioni dal costo complessivo di 1 miliardo di dollari, il che la renderebbe la più costosa serie mai realizzata. Vedremo se il budget sarà all'altezza delle aspettative dei fan. Ho molta hype per The Rings of Power e ne attendo con ansia l'uscita.

Sicuramente a livello di intrattenimento l'estate non ci lascerà a bocca asciutta portandoci due titoli fantasy di notevole importanza.

Grei Hoxha, 1 A





domenica 16 gennaio 2022

Ciao a tutti i lettori del blog!

Durante le vacanze natalizie ho avuto l’opportunità di mettere in discussione i miei pregiudizi sociali quando per natale ho ricevuto un libro di Silvia Lazzaris in cui si trattava del metodo coreano degli Honjok per vivere felici con se stessi.



La parola coreana honjok è una combinazione di "hon" (che significa solo) e "jok" (che significa tribù), dunque gli honjok sono tribù di una sola persona. Essi vedono la solitudine come una possibilità di sentirsi indipendenti e di conoscere maggiormente se stessi praticando attività quotidiane come il mangiare, l'uscire la sera o il fare una passeggiata in assenza di compagnia.

In Corea del Sud lo sviluppo repentino economico e tecnologico ha portato a cambiamenti sociali stravolgenti. La società coreana si è sempre basata sulla competitività individuale e ha adottato un unico stile di vita corretto a cui ogni cittadino doveva aspirare: andare in una scuola prestigiosa, laurearsi in un’università rinomata, trovare un lavoro ben pagato, mettere su famiglia. Gli honjok rifiutano questo modello sociale e attraverso l’utilizzo dei social media sono riusciti a sollevare questo fenomeno a livello nazionale: attualmente lo stato riconosce loro come nucleo familiare ed inoltre la Hon-economy si sta avvicinando alle esigenze di quest’ultimi creando prodotti e mobili adatti al loro stile di vita quotidiano.

La visione occidentale di solitudine è spesso accostata ad un sentimento negativo, un qualcosa da cui scappare, un periodo di transizione tra la compagnia di un gruppo di amici e l’altra; ma leggendo questo libro si può, entrando a conoscenza della vita degli honjok, imparare a guardare alla solitudine come  una via di fuga dalle pressioni sociali: scappare, per esempio, da come vorremmo che gli amici ci vedessero o da come i genitori vorrebbero che noi facessimo.

Ovviamente l’identità di ognuno di noi è principalmente costruita sul riflesso della comunità a cui apparteniamo ma credo che ciò non ci impedisca di trovare, quando ne abbiamo bisogono, la felicità con noi stessi nella solitudine: perché l'essere soli e il sentirsi soli non hanno lo stesso significato.


Alessandro Cheik

Aroma di...filosofia

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