Quella che segue è una riflessione da individuare nel contesto della lettura del libro consigliato durante l'attività del Bookclub, ovvero “Tutto chiede salvezza” di Mencarelli. Un romanzo che indaga i temi della malattia mentale, del disagio che ne consegue e il rispettivo rapporto con il mondo esterno. Tra le tematiche che però hanno suscitato in modo più intenso il mio interesse, stimolato dall'ambiente del bookclub, è l’inadeguatezza. Entrare in contatto con un testo contemporaneo, al quale non sono abituato prettamente per la mia sensibilità, è stato costruttivo, per permettermi di riconoscere anche in opere non ancora “storicizzate” quegli elementi comuni e costanti incastonati nell’ambiente culturale odierno. Fatte queste doverose premesse, ecco il mio modesto tentativo di tracciare una continuità attingendo al mio ridotto bagaglio personale, sperando di non esprimere qualcosa di superfluo, ma con il sincero intento di esporre un tentativo di "filogenesi che ripercorre l’ontogenesi”.
A migliaia si ergono idoli e altari per giustificare un comune sentire e per illuderci di poter applicare in qualche misura una forza subordinante all’Essere.
Avere invece la sensibilità di percepire quella sterminata sfilza di effigi e vitelli d’oro e templi e comun sangue e storie-di-martiri pagani e non, come estranea al proprio sentire; è accompagnata da un sentimento che gela il sangue e fa tremare i polsi.
La manifestazione di ciò è l’inadeguatezza, da intendersi nel senso più profondo del termine, una condizione a priori che non può essere riscattata, e che possiede intrinsecamente infinite e illimitate sfaccettature.
Lo era, il sentire di Agostino nella Malora, quando nel vedere i ragazzi di città, invidiava le loro scarpe, i loro pantaloni lunghi e odiava quegli zoccoli che lo facevano suonare come una mucca al pascolo. Si sentiva disumanizzato.
Lo sentiva Pin, adulto tra i bambini e bambino tra gli adulti. Entrambi trovarono un rifugio sicuro in una dimensione alta, altra, il loro “sentiero dei nidi di ragno”.
Raggiungendo così la consapevolezza che un sentimento del genere non può che avere una declinazione positiva, tutto questo dolore non può, non è e non sarà vano. E fornisce quel processo di autodeterminazione che fa scrivere a quell’uomo che fu Anguilla (ennesimo Pin, ennesimo Agostino): “Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo.”
Carelli Michele Maria, V A.
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