domenica 16 gennaio 2022

Ciao a tutti i lettori del blog!

Durante le vacanze natalizie ho avuto l’opportunità di mettere in discussione i miei pregiudizi sociali quando per natale ho ricevuto un libro di Silvia Lazzaris in cui si trattava del metodo coreano degli Honjok per vivere felici con se stessi.



La parola coreana honjok è una combinazione di "hon" (che significa solo) e "jok" (che significa tribù), dunque gli honjok sono tribù di una sola persona. Essi vedono la solitudine come una possibilità di sentirsi indipendenti e di conoscere maggiormente se stessi praticando attività quotidiane come il mangiare, l'uscire la sera o il fare una passeggiata in assenza di compagnia.

In Corea del Sud lo sviluppo repentino economico e tecnologico ha portato a cambiamenti sociali stravolgenti. La società coreana si è sempre basata sulla competitività individuale e ha adottato un unico stile di vita corretto a cui ogni cittadino doveva aspirare: andare in una scuola prestigiosa, laurearsi in un’università rinomata, trovare un lavoro ben pagato, mettere su famiglia. Gli honjok rifiutano questo modello sociale e attraverso l’utilizzo dei social media sono riusciti a sollevare questo fenomeno a livello nazionale: attualmente lo stato riconosce loro come nucleo familiare ed inoltre la Hon-economy si sta avvicinando alle esigenze di quest’ultimi creando prodotti e mobili adatti al loro stile di vita quotidiano.

La visione occidentale di solitudine è spesso accostata ad un sentimento negativo, un qualcosa da cui scappare, un periodo di transizione tra la compagnia di un gruppo di amici e l’altra; ma leggendo questo libro si può, entrando a conoscenza della vita degli honjok, imparare a guardare alla solitudine come  una via di fuga dalle pressioni sociali: scappare, per esempio, da come vorremmo che gli amici ci vedessero o da come i genitori vorrebbero che noi facessimo.

Ovviamente l’identità di ognuno di noi è principalmente costruita sul riflesso della comunità a cui apparteniamo ma credo che ciò non ci impedisca di trovare, quando ne abbiamo bisogono, la felicità con noi stessi nella solitudine: perché l'essere soli e il sentirsi soli non hanno lo stesso significato.


Alessandro Cheik

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