mercoledì 8 aprile 2020

Noia, dolore, rabbia





È quasi un mese e mezzo che abbiamo l’obbligo legale e morale di stare in casa, chiusi, privati della cosa a noi più cara, la libertà. Sicuramente in questo periodo la mia testa e il mio corpo sono stati e sono un grande contenitore di pensieri ed emozioni che forse sono apparsi troppo in fretta e in maniera troppo violenta. All’inizio di tutto questo penso sia venuta fuori la parte peggiore di me, quella più irrazionale ed egoista: pensavo solo ed esclusivamente a tutto quello che stavo perdendo io, al tempo che scorreva nel fiore dei miei anni e che non mi permetteva dunque di mostrare a me stessa e al mondo ciò che potevo realmente fare e dare.
Mi mancavano quelle piccole cose che prima consideravo scontate, ma che di fatto erano parte fondamentale della mia vita e della mia quotidianità: la libertà di passeggiare per la città, di prendere un caffè con un’amica o di guidare con i finestrini abbassati, al tramonto. Soffrivo per tutto quello che mi era stato tolto, per i rapporti umani che non potevano essere sostituiti da messaggi scambiati al telefono e per la scuola che mi veniva tolta proprio nell’ultimo anno di liceo per essere poi sostituita con videolezioni dove i miei compagni di classe erano solo dei riquadri con l’iniziale dei  nomi. Come si pensava anche solo di paragonare la “didattica a distanza” alla vera scuola? Chi poteva restituirmi quei banchi scarabocchiati, le risate trattenute con la mia compagna di banco e migliore amica, il suono della campanella per correre a fare l’intervallo, il caffè della macchinetta prima di una prova per la quale hai passato la notte a studiare, le mani sudate all’interrogazione, mentre il professore ti fissa negli occhi quasi come se sapesse esattamente quello che non sei riuscito a studiare bene.. 
Provavo un forte dolore, quasi come se sentissi che una delle pagine più belle della mia vita mi fosse stata strappata via da qualcosa che neanche vedevo: la diretta conseguenza di tutto ciò è stato un sentimento di totale impotenza, a 19 anni non potevo fare assolutamente niente. 
Tutti questi pensieri negativi spesso erano intervallati da qualche attimo di positività, legato a tutte quelle cose che cercavo di fare, forse per sentirmi in qualche modo viva: gli allenamenti per me stessa, le torte per la mia famiglia, lo studio per la scuola, le chiamate con le amiche senza avere in realtà niente di nuovo da raccontarsi...
Piano piano, nonostante il peso delle giornate che non passavano mai, ricominciavo a vedere per la mia vita uno spiraglio di luce: d’altronde io e la mia famiglia stavamo bene ed eravamo in salute, tutte le persone a cui tengo stavano bene, abitavo in un posto abbastanza grande da non sentirmi schiacciata dalle pareti di una casa e un’istruzione in fondo non mi era stata del tutto negata. 
Io sto bene, sono fortunata e, dopo lunghe riflessioni, ne sono assolutamente convinta. Il mio dolore, dal momento in cui ho assunto questa consapevolezza, si è tramutato in un diverso tipo di rabbia e di fatto ancora oggi sono tormentata da questo sentimento, che nasce proprio da un’osservazione meno egoistica di una realtà che non posso neanche vivere a pieno. 
Mi è veramente impossibile stare bene in un momento così delicato che toglie la libertà a tutti, ma che non la toglie a tutti come a me: io non posso accettare ma non posso  neanche fare niente per evitare la sofferenza di tutte  quelle persone che sentono tutto quello che sento io all’ennesima potenza. Provo rabbia al pensiero che ci siano famiglie che non hanno potuto salutare per l’ultima volta i loro cari in maniera dignitosa; provo rabbia al pensiero che tanta gente stia perdendo la propria vita per salvare quella di qualcun altro; provo rabbia al pensiero che ci siano famiglie che vivono un monolocale e che un bambino di due anni non abbia la possibilità di giocare fuori con questo caldo sole primaverile; provo rabbia al pensiero che ci siano persone che forse domani non avranno il pane a tavola perché non era previsto smettere di lavorare all’improvviso; provo rabbia al pensiero che ci siano donne e bambini che subiscono violenza oggi più che mai perché tenute a convivere con persone violente che oggi possono sfogare con più libertà le loro frustrazioni.
Provo rabbia anche se di fatto, a 19 anni, mi sento totalmente impotente.
Forse domani mi passerà, forse domani proverò un altro tipo di sensazione dovuto ad un nuovo modo di vedere la realtà che mi circonda però una cosa è certa: quando sono sola con me stessa i miei pensieri giusti o sbagliati che siano non si fermano mai e tutto rimbomba all’interno delle pareti del mio cervello e del mio cuore come i miei pianti di notte rimbombano all’interno delle quattro pareti della mia stanza, quelle quattro pareti dove devo rimanere ancora per chissà quanto, per il bene di tutti.

Claudia Bibaj, VB

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