"Stavano incominciando a far colazione in silenzio,
quando una barca a motore della Sanità del Porto ordinò di fermare
l'imbarcazione. Il capitano, dal posto di comando, rispose a urla alle domande
della pattuglia armata. Volevano sapere che tipo di peste avevano a bordo,
quanti passeggeri c'erano, quanti erano ammalati, che possibilità c'erano di
nuovi contagi. Il capitano rispose che portavano solo tre passeggeri, e tutti
avevano il colera, ma erano in stretto isolamento. Né quelli che dovevano
salire a La Dorada né i ventisette uomini dell'equipaggio avevano avuto nessun
contatto con loro. Ma il comandante della pattuglia non restò soddisfatto e
ordinò che uscissero dalla baia e che aspettassero alla palude de Las Mercedes
fino alle due del pomeriggio, mentre si preparavano le pratiche perché il
battello restasse in quarantena" così scrive Gabriel Garcia Marquez in
"L'amore ai tempi del colera", lettura che ho affrontato qualche anno
fa. La vicenda è ambientata negli ultimi anni dell'Ottocento a Cartagena de
Indias, in Colombia, periodo di diffusione del colera in quella zona. Analoga
alla situazione descritta sembra essere quella della nave da crociera Diamond Princess rimasta ormeggiata per
giorni nel porto di Yokohama (Giappone) e posta in quarantena dopo che alcuni
passeggeri erano risultati positivi al coronavirus. Probabilmente ancora più
significativa è la frase "i sintomi dell'amore sono gli stessi del
colera", come se l'amore si diffondesse al pari di una malattia portando
chi ne è colpito a stati d'animo febbrili e a compiere azioni irrazionali. Lo
scopo di Marquez era quello di porre l'accento sull'amore passionale che supera
i limiti del tempo ma, indirettamente, questi atteggiamenti irrazionali che
vengono descritti dall'autore sono riscontrabili in questi giorni di diffusione
dell'epidemia di COVID 19. Basti pensare
alla grande disinformazione, alle incette inutili di cibo o ai fenomeni di
razzismo basati su pregiudizi senza alcun fondamento come quelli nei confronti
della comunità cinese, presa di mira solo per la sua origine riconducibile al
primo focolaio del coronavirus. Sembra infatti che il vero contagio diffuso nel
nostro paese sia non tanto quello fisico, ma quello psicologico che ha portato
alla luce episodi di violenza e discriminazione che in fondo non sembrano così
lontani dagli eventi narrati da Manzoni nei Promessi Sposi. Forse in questo
clima di incertezza in cui la vita frenetica sembra essersi fermata, invece di
abbandonarci alla paura e all'irrazionalità, dovremmo fuggire, almeno
interiormente, sul nostro “battello” proprio come fecero i due anziani
protagonisti, Florentino e Fermina in "L'amore ai tempi del colera".
Chiara Zerbinati VB
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