lunedì 9 settembre 2019

Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”

“Credevo ti guardassi da che parte ti pende”.
Questa è la frase, apparentemente innocua, che scatena un fiume di riflessioni nel protagonista. Vitangelo Moscarda, infatti, a 28 anni non aveva mai notato che il proprio naso fosse storto. 
A chi non è mai capitato di non vedere in sé aspetti ad altri evidenti? Vitangelo, dopo questa affermazione della moglie, comincia a percepire al suo interno un’angoscia che non lo abbandonerà più, anzi: all'inizio si tratta solo di un sentimento fastidioso, poi riesce ad analizzarlo, a districarne tutti i nodi durante un brillante percorso di ragionamento che lo porta alla pazzia. Questo processo si conclude in una totale crisi dell’io, inteso come elemento della coscienza di ciascuno, universalmente e oggettivamente riconosciuto. Anzi, Vitangelo annuncia l’inesistenza della coscienza stessa come componente autonoma.
La pazzia, o comunque l’atteggiamento ambiguo e apertamente destabilizzante di Vitangelo che deriva dai suoi ragionamenti è a mio parere una soluzione comoda, che si addice alla figura del protagonista, avvicinabile in una certa misura all’inetto dei romanzi di Svevo. È comoda in quanto non affronta il problema provando a conviverci o cercando una soluzione, ma con fare arrendevole si lascia trascinare senza reagire.
Questo è un romanzo scioccante, ingombrante nella mente di ogni lettore: l’impossibilità di definire un io proprio o altrui in modo attendibile scuote inevitabilmente chiunque. È un capolavoro che trasmette in ogni pagina la tensione interiore del protagonista, che mischia la frenesia e l’angoscia, che risiedono nel bisogno di dover rivelare le proprie conclusioni, alla calma di chi ha già accettato le medesime.
Probabilmente lo svolgersi del filo del ragionamento ricapitola il lungo procedimento letterario di Pirandello, che realizza l’opera durante un periodo di ben 16 anni, tra il 1909 e il 1925, nella piena maturità artistica. 
Queste riflessioni sono certo  scaturite dagli studi pubblicati nel passato strettamente antecedente da Einstein e Freud, che mostrarono la soggettività della visione del mondo.
È un libro che consiglio vivamente a chiunque voglia essere portato a riflettere profondamente sulla nostra natura di esseri umani, cioè dotati di un’esteriorità e un’interiorità.

Ronco Umberto VB

1 commento:

  1. Personalmente ritengo sia il capolavoro di Pirandello: benché il racconto sia incentrato sui suoi pensieri riesce comunque a dare dinamicità alla storia.
    Mi è piaciuto molto anche il finale dai colori chiari, a contrasto con i toni cupi della storia.

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