Collateral Beauty è un film uscito nel 2016 e scritto dal regista americano Allan Loeb. Tratta il dolore più grande e la perdita più grave che un genitore possa mai sopportare, la morte di un figlio. Il protagonista Horward Inlet interpretato da Will Smith è il capo di un’agenzia pubblicitaria a cui muore la figlia di soli 6 anni. Questo evento lo porta ad allontanarsi dalla vita reale chiudendosi in una bolla. La sua azienda stava giungendo lentamente verso la bancarotta e se Horward non si fosse deciso a venderla molte persone sarebbero rimaste senza lavoro. Tre dei suoi colleghi, nonché socii e amici più stretti, decidono di prendere in mano la situazione, cercando di riportarlo in vita. Horward scriveva delle lettere, ma non alle persone, alle cose e in particolare alla Morte, all’Amore e al Tempo, le tre astrazioni. I tre amici incontrando casualmente tre attori di teatro propongono loro di impersonare le tre astrazioni a cui Horward scriveva e di entrare in contatto con lui. Da qui avrà inizio una sorta di catarsi per il protagonista che, inizialmente scettico, deciderà di affrontarli e tirerà fuori tutto l’odio che si teneva dentro dopo la disgrazia. Uscendo dal silenzio Horward troverà la via della guarigione.
Questo film mi ha portato a riflettere molto e in alcuni casi ad immedesimarmi negli amici che tentavano di aiutare il protagonista, anche se io al posto loro non avrei saputo come fare. In queste situazioni quando la vita ci butta giù, ci poniamo molte domande andando magari alla ricerca di un qualcosa di sbagliato che abbiamo fatto per meritare una simile punizione. Ci domandiamo se esiste un’entità superiore che decide oppure se siamo sottoposti al caso .Vorremmo poter tornare indietro e fare in modo che le cose vadano in modo diverso e questo desiderio spesso porta gli esseri umani a non rialzarsi , a vivere in funzione dell’attimo prima, a chiudersi in se stessi. La verità è che non è facile ricominciare a vivere e dimenticare il dolore. Occorre però avere la convinzione di poterlo fare. L’uomo è nato per vivere con gli altri e non tra gli altri. Le due parole che sono anche il titolo del film, ossia “bellezza collaterale”, subito mi sono sembrate insolite e poco appropriate al sentimento della perdita, forse perché non ho mai vissuto un’esperienza come quella del protagonista e non ho mai provato un dolore così forte . Ma quando il regista nel film attraverso i personaggi principali ci insegna che bisogna “cogliere il legame profondo con tutte le cose”, allora penso che occorra con coraggio cercare di non smettere di vivere, di non fermarsi di fronte al dolore per la perdita di qualcuno, ma capire che il dono della vita comprende anche questo e che bisogna cogliere la bellezza collaterale della morte che ti porta via le persone più care, del tempo che non si ferma mai, dell’amore che è il motore di ogni cosa, e che c’è un profondo legame che risiede tra essi e il mondo. Howard è riuscito a uscire dalla sua bolla, a emergere dal buio: ha imparato di nuovo cosa è l’amore, ha capito l’importanza del tempo e, dopo averla conosciuta, forse teme un po’ meno la morte.
“Amore, Tempo, Morte. Queste tre astrazioni collegano ogni singolo essere umano sulla terra, ogni cosa che vogliamo, ogni cosa che abbiamo paura di non avere, ogni cosa che alla fine decidiamo di comprare è perché in realtà a conti fatti noi desideriamo l’amore,
vorremmo avere più tempo e temiamo la morte.”
Davide Gambino, V B
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