lunedì 2 settembre 2019

"La casa in collina" di Cesare Pavese

“La casa in collina” è un romanzo di Cesare Pavese ambientato a Torino e nelle colline circostanti. Corrado è un professore di Torino, attraverso i suoi occhi e le sue parole vediamo i bombardamenti, l’8 settembre e la caduta del fascismo. 
Durante questo periodo frequenta un’osteria chiamata le Fontane, dove ritrova un suo amore passato, Cate, e un bambino, Dino, figlio di Cate, che Corrado sospetta sia figlio suo. Corrado vive così il dubbio della paternità di Dino e dell’amore per Cate.
Un giorno mentre Corrado è diretto alle Fontane vede Cate e gli altri frequentatori dell’osteria essere catturati dai Nazisti, Dino e Corrado però si salvano, rifugiandosi prima a casa dell’Elvira (donna innamorata di lui) e della madre. Successivamente a causa del troppo pericolo di cattura Corrado, seguito poi da Dino, si rifugia in un collegio a Chieri, dove Corrado riconsidera la  propria fede e trova una temporanea pace. Dopo poco dovrà però fuggire nuovamente, raggiungendo il suo paese natale, dove resterà da solo abbandonando Dino, Cate e l’Elvira.
Corrado vive con estrema passività il dramma della guerra e della sofferenza insensata causata da essa. Questa passività è in parte giustificabile per ovvi motivi relativi alla natura della guerra stessa e all’impotenza che questa porta alla vita dei personaggi, credo però che Corrado si arrenda alla guerra non solo nel non agire ma anche nell’abbandonare se stesso ad essere martoriato dagli eventi senza reazione interiore.
In numerose situazioni Corrado è per gli altri personaggi, che siano Dino, Cate o la compagnia dell’osteria un punto di riferimento in quanto a opinione e consiglio, e non trovo giusto che Corrado tolga speranza a chi non ne ha già.


Matteo Morra IV SA

1 commento:

  1. Per non ripetere una recensione vorrei aggiungere alcuni miei pareri a proposito di questo romanzo.
    Si intrecciano in modo flessibile due narrazioni: quella dei fatti legati alla guerra che coinvolgono i vari protagonisti, e quella della natura con le sue stagioni che si rincorrono, i boschi e le colline che cambiano aspetto, gli animali che Corrado incrocia durante le sue lunghe passeggiate, i colori del cielo e delle foglie che aiutano il lettore a distogliere la concentrazione sui fatti cruenti della guerra.
    Lo stile di Pavese è quasi poetico quando tratta questi ultimi argomenti che fanno trasparire il suo amore per la natura.
    Secondo me questo libro avrebbe potuto avere un titolo più calzante a parer mio, ‘Un uomo in fuga’. Perché questo è Corrado dall’inizio alla fine, un uomo che fugge dalle bombe in collina e dai rastrellamenti in un monastero a Chieri. Anche da lì fuggirà per raggiungere la casa dei genitori nella Langa, viaggio durante il quale incontra coloro che la guerra l’hanno fatta, ormai cadaveri. In un primo momento il protagonista pare un uomo distaccato; questo suo fuggire non solo dalla guerra ma anche dai sentimenti (l’amore), da una sua dubbia paternità, da uno schieramento politico, è al limite della vigliaccheria e ignavia. Nel finale però ho compreso meglio lo sguardo di Corrado sulle cose, uno sguardo profondo, un continuo interrogarsi sul significato della realtà quotidiana, quella che vede.
    L’ultimo capitolo è un capolavoro e vorrei rendere onore al suo creatore con una frase che spero vi invogli a leggere questo libro.
    ‘‘...ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. ....Ci si sente umiliati perchè si capisce, si tocca con gli occhi, che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.’’

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