‘’Il
giocatore’’ di Dostoevskij esordisce
riesumando i ricordi di Aleksej
Ivanovic che ripercorre i tempi passati in cui
era precettore presso ‘’il generale’’ , l’amore per Polina Aleksandrovna e il lento declino verso la
rovina economica e morale, in uno scenario drammatico governato dalla sorte,
popolato da personaggi schiavi delle loro passioni, doppiogiochisti e
materialisti legati solo al denaro. Sebbene ciascun personaggio sia un universo a
sé stante, quando si parla di denaro, tutti perdono ogni freno inibitore e si rivelano
cinici, amorali, superficiali e inconsistenti. L’unico ad avere più
spessore è il protagonista Aleksej forse perché gioca
per il gusto di giocare e non per vincere. Nel libro il tema del gioco
d’azzardo viene affrontato con ironia, per esempio nella descrizione della
nonna, senza tuttavia nascondere la tragicità
del vizio che conduce al disastro. La perdita, come detto, non è solo economica
ma soprattutto di carattere etico, i protagonisti vivono solo per la roulette, dimenticando qualsiasi altra cosa presente nella loro
vita.
Posso definire ‘’Il giocatore’’ un libro piuttosto coinvolgente, soprattutto nei primi dodici capitoli
dove il ritmo è incalzante e vi è un perenne salire dell’azione. Si potrebbe
parlare delle differenze delle borghesie europee e della condotta dei russi
all’estero, ma le qualità che deve avere un romanzo per tenere ‘’incollato’’ un
lettore sono la tensione, la suspense e i momenti che lasciano col fiato sospeso,
tutti elementi che si ritrovano solo con l’entrata nel casinò della nonna che, puntando cifre da capogiro, tiene il lettore con il fiato sospeso per intere
pagine. Tutto ciò mi ha fatto esultare con il
protagonista quando vinceva e disperarmi con esso se perdeva.
Questo
coinvolgimento mi ha portato però a pensare a che punto, per un uomo, il gioco si
trasformi da passatempo, svago o passione in un vizio ossessivo, ma forse è proprio
l’inconsapevolezza di essere in caduta libera o in rapida ascesa (dipende se si
vince o si perde) che spinge il giocatore a continuare e ogni azione diventa automatica. Davanti alla roulette si perde coscienza di sé e del mondo circostante, come ipnotizzati dal vorticoso girare dei trentasette numeri, finché ‘’rien ne va plus’’. Come emerge
dalla prefazione del romanzo, Dostoevskij aveva avuto problemi con il gioco
d’azzardo e scrisse il libro in breve tempo per il suo editore che probabilmente era più
che altro un vero e proprio usuraio. La scelta della roulette può essere
un dettaglio autobiografico oppure, come
egli stesso ha scritto, perché è il gioco che più si confà all’animo dei russi,
ma io vedo la roulette anche come metafora della vita. In un'esistenza tormentata da amore
non corrisposto e difficoltà economiche, in una vita che non dà molte
possibilità di svolta, la roulette diviene un’ancora di salvezza,
una possibilità di riscatto di un futuro migliore, perché come i numeri della
roulette anche la fortuna può girare; tuttavia, attraverso un lento ma continuo declino, ci si ritrova schiavi di un male dal quale si pensa ci si possa liberare in qualsiasi momento, senza rendersi conto di non aver più alcun potere sul proprio destino. Consiglio vivamente questo libro a chiunque cerchi
un romanzo scorrevole e coinvolgente, ma anche attuale e significativo, grazie alla presenza di una ricca analisi introspettiva sui vizi dell'uomo.
Chiara Zerbinati IV B
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