martedì 13 agosto 2019

Il Miglio Verde

“Il Miglio Verde” diretto da Frank Darabont nel 1999 è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Stephen King. Ottenne quattro nomination agli Academy Awards del 2002 nelle categorie Miglior film, Migliore attore non protagonista, Migliore sceneggiatura non originale, Miglior sonoro. Ambientato nel 1935 in Louisiana, è il racconto che Paul Edgecomb (Tom Hanks), ex capo delle guardie del braccio della morte nel penitenziario di Cold Mountain, fa a un’amica in una casa di riposo. Rievoca con lei la conoscenza fatta con John Coffrey (Michael Duncan), uomo di colore alto due metri, condannato a morte per il brutale omicidio di due gemelle di nove anni. Questo suo aspetto minaccioso e smisurato contrasta con l’indole che durante la permanenza nel carcere Edgecomb arriva a conoscere, facendolo alla fine dubitare della sua colpevolezza.
I temi che si evincono in questa pellicola cinematografica riguardano i diritti dell’uomo messi in pericolo da pregiudizi e desiderio più di vendetta che di giustizia. Infatti, John è colpevole perché è “negro” e dà l’impressione di aver una forza smisurata. Nessuno è davvero interessato a  conoscere il suo animo e a capire il perché si trovava sul luogo del delitto. È quindi costretto a percorrere il lungo corridoio chiamato appunto “miglio verde” per il colore del pavimento al cui termine si trova una stanza con “la vecchia scintillante”, ossia la sedia elettrica. Eppure, già nel 1764 Cesare Beccaria con il suo saggio “Dei Delitti e delle Pene” denunciava la pratica della condanna a morte per il rischio di usarla contro un innocente.
Nel film risalta anche il comportamento di Edgecomb, che conserva la sua umanità anche in un ambiente pieno di odio, desiderio di vendetta e intolleranza. Sarà questa sua umanità a fargli capire la vera indole di Coffrey e a restituirgli la sua dignità.
Il Miglio Verde, molto fedele al romanzo, possiede una sceneggiatura lineare, mostrando un ritmo apparentemente pacato che evidenzia il lento scorrere delle giornate dei detenuti nei loro restanti giorni di vita. Inoltre, Darabont usa sapiente toni cupi e luminosi per accompagnare il ritmo narrativo descrivendo un mondo in cui l’unico vero inferno è quello creato dall'uomo. 
                               

Valentina Mossotto 4SB

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