martedì 27 agosto 2019

FRANCESCA WOODMAN – DISORDINATE GEOMETRIE INTERIORI 1980




Francesca Woodman è considerata una delle figure più emblematiche della fotografia statunitense degli ultimi quarant’anni. Nel 1981 pubblicò la sua prima, e ultima in vita, raccolta di foto, “Some disordered interior geometries”, contenente le immagini più emblematiche da lei scattate fin dalla tenera età di tredici anni.


 

Due anni fa mi sono imbattuta in alcune delle sue fotografie divenute molto note, nonostante, a causa della sua breve vita e del suo stile all'avanguardia, sia rimasta nell'ombra per molto tempo. Appassionata di autoritratti, sono stata subito colpita dagli scatti di cui lei stessa  è protagonista.
Nel medesimo campo aveva già debuttato la celebre Claude Cahun, artista, fotografa e scrittrice francese, esponente del surrealismo. Come afferma il padre in un’intervista, disponibile in rete solo in lingua originale, Francesca era appassionata e conoscitrice del movimento Deda e dei surrealisti, fin dalla prima adolescenza. Nelle sue fotografie è infatti possibile osservare una vera e pura negazione di tutti i valori razionali, a favore dell’esaltazione di tutti quelli istintivi, elementari e infantili. Lei propone il suo corpo nudo, svincolato da qualsiasi rimando erotico, come parte della realtà che ci circonda, ponendo sullo stesso piano l’uomo e la materia.
Attraverso lo studio della composizione e dell’inquadratura, giochi di luce, tempi di esposizione prolungati che permettono di catturate l’immagine in movimento, è riuscita a intrappolare su pellicola dinamiche “geometrie interiori”.
Osservando le sue fotografie ciò che più mi appare immediato è il suo forte senso di appartenenza a tutto ciò che è materia: il suo corpo  giace a fianco alle radici di un albero prendendone le sembianze o diviene parte di un muro, mescolandosi con la carta da parati.


 

Mi affascina e mi coinvolge il suo voler ricongiungersi al principio primo e universale della materia, abbandonando il razionale e tutte le convenzioni adottate dalla società moderna.
A differenza dei grandi fotografi documentaristi, ciò che più mi ha sempre colpito delle foto di Francesca è la semplicità, non come risultato, ma come punto di partenza: per trasmettere un messaggio preciso non ha mai avuto bisogno di particolari luoghi o attrezzature, ma se stessa e quello che possiamo trovare in una banale stanza erano tutto ciò che le serviva.
Il suo corpo diventa dunque strumento per studiarsi e la paura di perdere tutto quello che era riuscita a conoscere l’ha spinta ad intraprendere una decisione molto drastica:  “ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate”.

Teresa Giordano, IVB 

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